Intervista a Francesco Forgione

 
Francesco Forgione
 

Per Francesco Forgione è fondamentale partire dai banchi di scuola nella formazione di una cultura critica. Così decide di presiedere il laboratorio “Mafie negate. Mafie svelate” all’Università la Sapienza di Roma: per affrontare il tema della criminalità organizzata da diversi punti di vista e far capire ai giovani studenti che esistono degli strumenti per combattere le mafie.Giornalista scrittore e studioso dei fenomeni mafiosi, Presidente della Commissione antimafia nel 2006, Francesco Forgione in quest’intervista parla dei legami esistenti tra mafia politica e finanza, della connivenza diffusa nella società civile e dell’importanza dei luoghi di formazione per la nascita di culture di contrasto alla mafia stessa.

 
Partirei dalla scelta del titolo: “Mafie negate. Mafie svelate”.
 

«Sembra un titolo anacronistico, perché ormai la presenza delle mafie nella società italiana è un dato acquisito. Siamo a trent’anni dal maxiprocesso di Palermo, che ha dato le prime verità giudiziarie a quella che è stata una lunga storia di negazionismo (anche giudiziario); siamo a vent’anni dalla legge 109 sull’assegnazione sociale dei beni. Ma in realtà, osservando il dibattito politico culturale attuale, ci rendiamo conto che il tema delle mafie è quasi scomparso: c’è fastidio a parlare di mafia. Come è emerso chiaramente con l’inchiesta “mafia capitale” a Roma, o a Milano e a Torino nei giorni successivi all’approvazione della Relazione sulla ‘ndrangheta: l’allora sindaco di Milano Letizia Moratti e di Torino Sergio Chiamparino dissero che quella relazione, della quale io fui estensore materiale, sporcava l’immagine della loro città. E questo atteggiamento permane. La storia della lotta alla mafia è caratterizzata da un susseguirsi di stati di emergenza e stati di tollerabilità, connivenza e negazione. Abbiamo pensato di focalizzare la nostra attenzione in questo laboratorio su questi temi e fuoriuscire dalla dimensione penale e giudiziaria, siamo nelle Facoltà di Lettere e Filosofia, non poteva che essere così».

 
Per quanto concerne questo alternarsi di stadi di emergenza e tollerabilità, che momento vive la Calabria attualmente, secondo lei?
 

«Non è un buon momento. La ‘ndrangheta continua ad essere molto forte, sebbene siano tantissimi i colpi che la magistratura riesce a infliggerle: i sequestri e le confische sono all’ordine del giorno. Quello che manca in Calabria è la politica, in modo trasversale. Il tema viene completamente rimosso o delegato per esteso alla magistratura, assolvendo così alla propria incapacità o non volontà di costruire meccanismi di contrasto reali nella dimensione politica, nella dimensione della gestione del potere, nella dimensione della trasparenza nella pubblica amministrazione. E manca anche la società civile. La magistratura certamente deve insistere su quella che comunemente è chiamata la zona grigia, la borghesia mafiosa, ed evitare che vengano strumentalizzate le indagini, rischiando di vanificare complessivamente il contrasto alla mafia».

 
Il fenomeno mafioso è un fenomeno molto complesso, cosa è importante “svelare”?
 

«La dimensione politico-finanziaria delle mafie: la convivenza del mondo economico-imprenditoriale con la criminalità organizzata oggi è l’elemento chiave per svelare la presenza delle mafie nella società. Il Procuratore della Repubblica di Roma, Giuseppe Pignatone parla spesso di cono d’ombra. Una dimensione sconosciuta dove prende forma questa contrattazione dei vari interessi nei rapporti tra politica, imprenditoria e mafia. L’immagine più esplicativa a questo proposito l’ha data Carminati, descrivendo “un mondo di sopra, un mondo di sotto e un mezzo in cui tutto si mischia”. In questo “mezzo in cui tutto si mischia” c’è un compito di contrasto per la magistratura, ed uno per la politica e la società civile. La ‘ndrangheta è complessa e variegata, bisogna smetterla di rappresentarla esclusivamente con il narcotraffico. Il film Anime nere è bellissimo, rappresenta quella visione culturale-antropologica arcaica della ndrangheta, fatta di silenzio e di omertà. Rappresenta una parte, una visione, non la ‘Ndrangheta. Ed è bene tenere presente ciascuna differenziazione quando si mettono in campo azioni di contrasto».

 
Quanto è importante istruire alle mafie all’interno dei luoghi di formazione?
 

«E’ importantissimo. I luoghi di formazione sono nevralgici nello sviluppo di una cultura critica e a noi servono lenti critiche per leggere il potere nella sua dimensione economica- finanziaria, nella politica, nella sua dimensione globale: la mafia va cercata dove non si vede. Gli apparati formativi hanno un ruolo fondamentale, così come la Chiesa: la religione deve riappropriarsi del suo significato autentico. Io insisterei molto sulla scuola, e sulla scuola pubblica in particolare».

 
Cosa significa ambientare un workshop sulle mafie in una delle università più prestigiose e frequentate d’Italia?
 

«Il fatto che la Sapienza abbia acconsentito a questo workshop è importante, ma lo è di più la risposta degli studenti: era un laboratorio pensato per 35 ragazzi e abbiamo 120 iscritti. Sono sorpreso. Questo vuol dire che c’è un’attenzione al tema, ma soprattutto c’è una domanda di libertà, di cultura di libertà, che dobbiamo saper raccogliere. Non abbiamo pensato ad un workshop sul tema delle mafie per dare risposte paternalistiche o spiegare ciò che si deve o non deve fare. Agli studenti della Sapienza bisogna dare strumenti critici e assieme a loro creare percorsi: è questo il senso della presenza della Cooperativa Nemesis all’interno di questo laboratorio. Noi lavoreremo sui beni confiscati e proporremo alle istituzioni romane di accendere i riflettori sui beni confiscati. Dovremmo cominciare a costruire una cultura che fornisca una lettura critica del territorio e a far comprendere che ci sono degli strumenti per combattere la mafia: una cultura democratica, una cultura della partecipazione e anche un esercizio responsabile del voto».